Akita Inu, il cane dei Samurai







Akita é una regione situata a nord dell'isola principale del Giappone (Honshu) dove la razza é stata selezionata e si é evoluta. lnu significa cane, quindi si può tradurre in "Cane d'Akita".

 L'ASPETTO 

E' quello di uno Spitz di grossa taglia, quindi testa a cuneo, orecchie erette portate un poco in avanti, coda arrotolata e portata lateralmente ai fianchi. Inoltre il cane deve dare un'impressione di naturalezza e di semplicità con un tocco di primitività che, unitamente alla mole e al portamento di regale dignità, fanno di questo animale un raro esempio di perfezione naturale. I Giapponesi per spiegare la bellezza di questo cane usano vocaboli sfumati che é quasi impossibile rendere in Italiano. Abbastanza grossolanamente si potrebbe dire che le qualità estetiche delI'Akita non sono vistose o appariscenti, ma consistono in una linea dal fascino sobrio ove le qualità che non appaiono sono ancora più importanti di quelle subito evidenti. La bellezza in questo cane é una qualità naturale senza alcun tocco di artificio, fatta essenzialmente di semplicità e di armonia. L'Akita-lnu sta in piedi come avesse le radici nella terra. 




IL CARATTERE

 L'espressione più usata dai Giapponesi per indicare l'indole dell'Akita é: "prodezza naturale". Questa qualità morale è indispensabile, senza di essa il cane non è un Akita. Essa costituisce elemento di tale importanza per cui si può perdonare all'Akita un difetto di linea, compensando tale carenza puntando al massimo l'apprezzamento sulla sua intrepidezza. Il cane prode sta in piedi tranquillamente tenendo la testa alta e volge intorno a sé lo sguardo per mostrarsi in tutta la sua maestosità. Esso è in grado di assumere tale atteggiamento perchè sicuro di se stesso. Il cane prode, in situazioni di normalità non palesa inquietudine; un detto giapponese dice: "In silenzio tranquillo come la foresta, in azione è come un lampo". Dunque un cane prode è sempre calmo, non è meticolosamente attento alle minuzie, ma è naturalmente dotato di coraggio composto, accompagnato da dignità e forza. In questo spirito ardimentoso, unitamente alle sembianze di pari pregio e alla intrepidezza sta tutto il reale valore dell'Akita-lnu .

Nel Luglio del 1931 questo cane è stato proclamato "Tesoro Naturale del Giappone".

Tratto dal libro Akita lnu di Giuliano e Gaia Danesi - Edizioni Cinque





Una leggenda giapponese e l'Akita Inu








Il vecchio che faceva fiorire gli alberi secchi
Leggenda giapponese


Tanto tempo fa vivevano un vecchio e la moglie che si sostentavano coltivando un fazzolettino di terra. Avevano vissuto una vita molto felice e pacifica, a parte un grande dispiacere, quello di non avere figli.
Avevano un animale, un cane di nome Shiro, e su di lui avevano riversato tutto l’affetto della loro tarda età. Lo amavano tanto, che ogni volta che avevano qualcosa di buono da mangiare, ci rinunciavano per darlo a Shiro.
“Shiro” significa “bianco”, ed era stato chiamato così proprio per il suo colore.
Era un autentico cane giapponese e somigliava moltissimo a un piccolo lupo.
Le ore più felici del giorno per il vecchio e il suo cane erano quelle in cui l’uomo tornava dal lavoro nei campi e, dopo la cena frugale a base di riso e verdura, prendeva gli avanzi e li portava sulla veranda che circondava la casa. E... proprio così! Shiro era lì ad aspettare il suo padrone e i bocconcini serali.
Shiro si sedeva e aspettava, e il padrone gli dava il cibo.

Nella casa vicina a quella dei due buoni vecchi viveva un altro vecchio con la moglie, due persone odiose e cattive che detestavano profondamente i loro buoni vicini e il cane Shiro. In qualunque momento Shiro si facesse vedere nella loro cucina, lo cacciavano subito fuori a calci, a volte anche ferendolo.
Un giorno Shiro fu sentito latrare a lungo nel campo dietro la casa del padrone. Il vecchio, pensando che forse qualche uccello stesse minacciando il grano, corse a vedere cosa succedeva. Non appena Shiro vide il padrone, gli corse incontro dimenando la coda e, afferrata l’estremità del kimono, lo trascinò fino a un grande albero yenoki. Qui cominciò a scavare attivamente con le zampe e a guaire di gioia nello stesso tempo. Il vecchio, che non riusciva a capire il significato di tutto ciò, guardava stupito. Ma Shiro continuava ad abbaiare e a scavare a più non posso.


- Il vecchio trova l'oro sotto l'albero -

Alla fine al vecchio venne in mente che potesse esserci qualcosa nascosto sotto l’albero e che il cane l’avesse fiutata. Tornò di corsa a casa, prese il badile e cominciò a scavare in quel punto. Dopo che ebbe scavato per un po’, quale non fu la sua meraviglia nel trovare un mucchio di vecchie e preziose monete, e più scavava, più monete d’oro trovava. Il vecchio era così intento al suo lavoro che non si accorse della faccia arrabbiata del suo vicino che lo spiava attraverso il recinto di bambù. Infine il mucchio di monete d’oro luccicava sul terreno vicino all’albero. Shiro sedeva diritto, pieno di orgoglio e guardava con amore il padrone che gli diceva: «Anche se sei solo un cane, ti ripagherò per tutta la gentilezza che mi dimostri».
Il vecchio corse a chiamare la moglie e insieme portarono a casa il tesoro. E così, in un solo giorno, i due buoni vecchi da poveri diventarono ricchi. La loro gratitudine verso il fedele cane non conobbe limiti e lo amarono e coccolarono ancora di più, se mai era possibile.
Il vecchio e odioso vicino, attratto dall’abbaiare di Shiro, era stato un testimone non visto e invidioso del ritrovamento di quel tesoro. Cominciò a pensare che anche lui avrebbe potuto trovare una fortuna. E così, qualche giorno dopo, si recò alla casa del vecchio e con molte cerimonie gli chiese il permesso di prendere in prestito Shiro per breve tempo.

Il padrone di Shiro pensò che si trattava di una richiesta davvero strana, perché sapeva bene che il vicino non solo detestava il suo cane, ma non perdeva mai occasione di picchiarlo e tormentarlo quando incrociava la sua strada. Ma il buon vecchio aveva un animo troppo gentile per rifiutare e così permise al vicino di prendere in prestito il cane, a condizione che ne avesse la massima cura.
Il vecchio cattivo fece ritorno a casa con un sorriso maligno sul viso e raccontò alla moglie quello che era accaduto. Poi prese il badile e si affrettò verso il proprio campo obbligando il restio Shiro a seguirlo. Non appena arrivò all’albero yenoki, disse al cane in tono minaccioso:
«Se c’erano delle monete d’oro sotto l’albero del tuo padrone, devono essercene anche sotto il mio. Devi trovarle! Dove sono? Dove? Dove?»
E afferrato il collo di Shiro, teneva la sua testa contro il suolo, tanto che il povero cane cominciò a grattare e scavare la terra nel tentativo di liberarsi dalla stretta di quel vecchio disgustoso.

L’uomo fu molto soddisfatto quando vide che il cane cominciava a grattare e a scavare, perché immaginò subito che ci fossero delle monete d’oro sepolte in quel punto sotto l’albero come sotto quello del suo vicino, e che il cane le avesse fiutate come la volta precedente. Allora spinse via Shiro e cominciò a scavare lui stesso, ma non c’era niente da trovare. Appena si mise a scavare, si fece sentire un odore nauseabondo e alla fine venne alla luce un cumulo di immondizie.
È facile immaginare il disgusto del vecchio che presto si trasformò in rabbia. Aveva visto la fortuna del vicino e sperando di avere la stessa buona sorte, aveva preso in prestito il cane Shiro, e adesso, proprio quando si sentiva sul punto di trovare quello che stava cercando, era stato gratificato solo dall’orribile fetore di un cumulo di rifiuti. Invece di dare la colpa di quella delusione alla propria avidità, se la prese con il povero cane. Sollevò il badile e colpì Shiro con tutte le forze uccidendolo sul colpo. Poi seppellì il corpo del cane nella buca che aveva scavato mella speranza di trovare un tesoro in monete d’oro e lo ricoprì di terra. Infine tornò a casa e non disse a nessuno, nemmeno alla moglie, quello che aveva fatto.

Il padrone, dopo aver aspettato per parecchi giorni il ritorno di Shiro, cominciò a preoccuparsi sempre più. I giorni passavano e il vecchio aspettava invano. Alla fine andò dal vicino e gli chiese di restituirgli il cane. Senza vergogna né esitazione il cattivo vicino rispose che aveva ucciso Shiro perché si comportava male. A questa terribile notizia il padrone di Shiro pianse tristi e amare lacrime, tuttavia, malgrado il dolore, rimproverò il vicino con bontà e gentilezza. Saputo che Shiro era sepolto sotto l’albero yenoki, chiese al vecchio di dargli l’albero in ricordo del suo povero cane Shiro.

Nonostante la sua cattiveria, il vicino non poté rifiutare questa semplice richiesta e acconsentì a dare al vecchio l’albero sotto il quale giaceva Shiro. Allora il padrone di Shiro abbatté l’albero e lo portò a casa. Dal tronco ricavò un mortaio nel quale la moglie mise del riso e cominciò a pestarlo per fare una festa in memoria del povero cane Shiro.

Ma successe una cosa strana! La donna aveva messo il riso nel mortaio e appena aveva incominciato a pestarlo per farne dei dolci, la quantità di riso cominciò ad aumentare un po’ per volta fino a diventare quasi il quintuplo di quella originale, e i dolci uscivano dal mortaio come se una mano invisibile stesse lavorando. Quando il vecchio e la moglie videro tutto questo, capirono che si trattava di una ricompensa da parte di Shiro per il loro fedele amore per lui. Assaggiarono i dolci e li trovarono più squisiti di qualsiasi altro cibo. E così da allora non dovettero più preoccuparsi per il cibo, perché vivevano dei dolci che il mortaio forniva loro costantemente.

L’avido vicino, venuto a sapere di questo nuovo colpo di fortuna, fu ancora una volta pieno d’invidia, chiamò il vecchio e gli chiese di prestargli per breve tempo quel mortaio meraviglioso, facendo finta di essere anche lui afflitto per la morte di Shiro e di voler preparare dei dolci per la festa in memoria del cane. Il vecchio non aveva il minimo desiderio di accontentare il suo vicino cattivo, ma era troppo gentile per rifiutare. E così quell’uomo invidioso si portò a casa il mortaio, ma non lo restituì più.

Passarono diversi giorni, e il padrone di Shiro aspettava invano il mortaio. Andò dunque dal vicino per chiedergli di essere così gentile da restituirgli il mortaio se non gli serviva più. Lo trovò seduto vicino a un grande fuoco fatto con frammenti di legno. A terra c’erano quelli che sembravano proprio pezzi di un mortaio rotto. In risposta alle domande del vecchio, il vicino cattivo disse con fare arrogante:

«Sei venuto a chiedermi il mortaio? L’ho fatto a pezzi e ora li sto bruciando, perché quando ho provato a preparare i dolci lì dentro, ne è uscita solo della robaccia puzzolente».

Il buon vecchio disse:

«Sono davvero desolato per questo. Mi dispiace che tu non abbia chiesto i dolci a me, se ne avevi bisogno. Te ne avrei dati quanti volevi. Ma ora ti prego, dammi la cenere del mortaio perché vorrei conservarla in ricordo del mio cane».

Il vicino acconsentì anche questa volta, e il vecchio portò a casa un cesto pieno di cenere.

Poco dopo il vecchio sparse involontariamente un po’ della cenere del mortaio bruciato sugli alberi del proprio giardino. E si verificò un fatto strabiliante! Era tardo autunno e tutti gli alberi avevano perso le foglie, ma non appena la cenere ebbe toccato i rami, i ciliegi, i salici e tutti gli altri alberi e cespugli rinverdirono e fiorirono, tanto che il giardino del vecchio si trasformò in un attimo in uno splendido quadro primaverile. Il piacere del vecchio fu immenso, e conservò con la massima cura la cenere avanzata.

La storia del giardino del vecchio si diffuse dappertutto e la gente arrivava da ogni parte del paese per assistre a quel fenomeno incredibile.
Qualche giorno dopo il vecchio udì bussare alla sua porta e, uscito sulla veranda per vedere chi era, con sua sorpresa si trovò davanti a un samurai. Il samurai gli disse che faceva parte del seguito di un grande Daimio [nobile], che uno dei ciliegi preferiti del giardino del suo padrone si era seccato e che, malgrado si fosse tentato di tutto per riportarlo vita, non c’era stato niente da fare. Il samurai si era molto rattristato e preoccupato vedendo il dispiacere causato al Daimio dalla perdita del suo ciliegio preferito, ma per fortuna avevano udito che c’era un prodigioso vecchio che poteva far fiorire gli alberi secchi, e così il suo signore lo aveva mandato per chiedere al vecchio di andare da lui.
«E ti sarò molto riconoscente» aggiunse il samurai «se verrai subito con me».
Il buon vecchio fu molto meravigliato da quanto udiva, ma seguì con rispetto il samurai fino al palazzo del nobile.


- Il vecchio fa rifiorire l'albero di ciliegio -






Il Daimio, che stava aspettando con impazienza l’arrivo del vecchio, appena lo vide gli chiese:
«Sei tu il vecchio che può far fiorire gli alberi secchi anche fuori stagione?»
Il vecchio s’inchinò e rispose:
«Quel vecchio sono io».

Allora il Daimio disse:
«Devi far sì che il ciliegio morto nel mio giardino fiorisca di nuovo grazie alla tua famosa cenere. Io starò a guardarti».
Andarono tutti nel giardino, il Daimio, il suo seguito e le dame, che aspettavano portando la spada del Daimio.
Il vecchio allora rimboccò gli orli del kimono e si preparò a salire sull’albero. Disse: «Con il vostro permesso», prese il vaso che aveva portato con sé e cominciò ad arrampicarsi. Tutti seguivano i suoi movimenti con grande interesse.
Alla fine il vecchio raggiunse il punto in cui l’albero si suddivideva in due grandi rami, vi si sedette e sparse la cenere a destra e a sinistra sui rami e i ramoscelli. Il risultato fu sbalorditivo! Subito l’albero secco si riempì di fiori. La gioia del Daimio era tanto grande che sembrava impazzito. Si alzò sulla punta dei piedi e aprì il ventaglio chiamando il vecchio perché scendesse dall’albero.
Offrì di sua mano al vecchio una coppa piena del migliore sakè e lo ricompensò con oro, argento e molti altri oggetti preziosi. Il Daimio ordinò poi che da quel momento in poi il vecchio avrebbe avuto il nome di
Hana-Saka-Jijii,
ovvero “Il Vecchio che fa Fiorire gli Alberi Secchi”
e tutti lo avrebbero riconosciuto con quel nome, quindi lo rimandò a casa con grandi onori. Il vicino cattivo, come le altre volte, sentì parlare della fortuna del vecchio e di tutte le belle cose che gli erano capitate, e il suo cuore si riempì d’invidia e di gelosia. Si ricordò del fallimento dei suoi tentativi di trovare le monete d’oro e di fare i dolci magici; ma questa volta avrebbe certamente avuto successo se avesse imitato il vecchio che faceva fiorire gli alberi secchi spargendo cenere su di essi. Sarebbe stata la cosa più facile di tutte.
Così si mise al lavoro e raccolse tutta la cenere del magico mortaio che rimaneva nel focolare. Poi uscì sperando di trovare un uomo ricco e potente che lo assumesse, e lungo la strada gridava:

«Arriva l’uomo prodigioso che sa far fiorire gli alberi secchi! Arriva l’uomo prodigioso che sa far fiorire gli alberi secchi!»



- L'impostore e il Daimio -

Il Daimio sentì questo richiamo dal palazzo e disse:
«Dev’essere Hana-Saka-Jijii che sta passando qui davanti. Oggi non ho niente da fargli fare, ma mettiamo di nuovo alla prova la sua bravura. Mi divertirò a guardarlo».
Allora la gente del seguito uscì e portò l’impostore di fronte al Daimio. È facile immaginare la soddisfazione del falso vecchio.
Ma il Daimio, guardandolo, trovò strano il fatto che non fosse uguale al vecchio che aveva visto la volta precedente e quindi gli chiese:
«Sei l’uomo che ho chiamato Hana-Saka-Jijii?»
E il vicino invidioso mentì e disse:
«Sì, mio signore!»
«Che strano!» disse il Daimio. «Pensavo che ci fosse un solo Hana-Saka-Jijii in tutto li mondo! Forse che ora ha dei discepoli?»
«Sono io il vero Hana-Saka-Jijii! Quello che è venuto prima da te era solo il mio allievo!» rispose ancora il vecchio.
«Allora tu devi essere ancora più abile dell’altro. Mostrami cosa sai fare!»
Il vicino invidioso, seguito dal Daimio e dalla sua corte, andò in giardino e, avvicinatosi a un albero morto, prese una manciata della cenere che aveva portato con sé e la sparse sull’albero.

Non solo l’albero non fiorì, ma anzi non comparve nemmeno una gemma.
Pensando di non aver usato abbastanza cenere, il vecchio ne prese un’altra manciata e sparse anche quella sull’albero secco. Di nuovo nessun risultato. Dopo diversi tentativi, il vento soffiò la cenere negli occhi del Daimio che si arrabbiò moltissimo e ordinò alle guardie di arrestare il falso Hana-Saka-Jijii e di gettarlo in prigione con l’accusa di essere un impostore.
Il vecchio cattivo non uscì mai più di prigione, e questa fu la giusta punizione per tutto il male che aveva fatto.
Il buon vecchio invece, con il mucchio di monete d’oro che Shiro aveva trovato per lui e con tutto l’oro e l’argento che il Daimio gli aveva elargito, diventò ricco e prospero e visse una vita lunga e felice, amato e rispettato da tutti.

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